venerdì 25 luglio 2014

Mamme (dududu)

Noi donne la complicazione ce la portiamo nascosta in una curva del DNA. Abbiamo l’equazione del caos stampata in fronte, accanto al codice del bancomat. Ecco perché i figli li fanno partorire a noi, perché nasciamo allenate. Il carico dei doveri femminili ce lo infilano dentro, al primo cambio di pannolino. Figlie di generazioni in cui l'ominide di casa doveva essere servito in ogni sua espressione primitiva digeriamo obblighi sociali con la stessa noncuranza con cui ingoiamo l'anestetico dal dentista. Abbiamo madri e suocere che ci ricordano ogni giorno quanto un uomo e una donna siano destinati ad attività diverse e sono sempre compiti che in realtà non hanno nulla a che fare con la capacità umana. Qualcuna prude di fastidio e poi sorride al marito mentre gli stira le mutande, qualcuna invece prova a debellare queste brutte abitudini insegnando al figlio maschio che la lavatrice ha la stessa utilità di una rombante automobile e che per girare il sugo non serve usare un controller della wii.
Noi donne siamo così, il fastidio lo prendiamo come un blocco di pongo e lo manipoliamo con ostinazione, dalla sacca del dolore tiriamo fuori un viaggio, un paio di scarpe nuove, una nuova disposizione dei mobili di casa, un improbabile taglio di capelli.
Una mamma impara in fretta, non si concede il tempo dell’indecisione, perché il tempo dell’indecisione l’ha consumato tutto davanti ai saldi di fine stagione e così si ritrova ad attaccare cerotti come figurine colorate e ad asciugare il pianto con la stessa rapidità con cui maneggiava il phon. Una mamma trasforma i mostri in fiori. Una mamma cucina, lava, stira e si concede pure il tempo di lavorare. Le attività di una madre hanno la stessa portata emotiva di un tir lanciato in autostrada. Se qualcuno si mette di traverso, il rischio di finire inerme come un plaid scozzese è piuttosto alto.
La sera rientra a casa con il mascara raggrumato dentro le occhiaie, prende in braccio il figlio, ingoia quel fiato che odora di latte e saliva con la stessa lieta meraviglia con cui a diciassette anni aspirava il fumo di una canna. Dal divano lancia al marito duecentosei direttive, imbastisce una cena, si passa lo smalto sulle unghie dei piedi, cambia due pannolini, infila sei pigiami (uno sopra l'altro perché presa dalla stanchezza dimentica ogni volta di aver già effettuato l'operazione) e porta a letto il salamino colorato con l'occhio lucido di chi è al primo appuntamento. Poi torna in salotto propone al marito di guardare insieme un film e gli sposta la testa quando, dieci minuti dopo, si addormenta sbavando i cuscini appena presi all'Ikea. Allora si alza, raccoglie i giochi, li ammucchia dentro un contenitore e pensa che sono sempre troppi ma che forse, senza tutte quelle palline e librettini e cavallini di gomma la casa mancherebbe della giusta confusione che si porta sempre appresso l'amore.

Perché il caos è un'attitudine e noi donne ce lo carichiamo addosso con la stessa naturalezza con cui ci incastriamo un figlio su un fianco. Senza fatica e con tutta la meraviglia del mondo addosso.

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