venerdì 28 novembre 2014

Outing 1.4

Io sono per l'allattamento al seno e si è capito, il Polpetta ha venti mesi e cerca, chiama, esige la tetta. Bene.
C'è da dire però una cosa, una piccolissima cosa.

Ci sono in giro certe talebane del capezzolo gocciolante che terrorizzano le puerpere in fase di assestamento ormonale imponendo un assolutismo che farebbe invidia a Federico II di Prussia. Bene.

Dato che l'allattamento al seno ha una serie di regole ferree da rispettare affinché tu possa produrre più latte, c'è da dire un'altra cosa - e la dico io, mica l'OMS - che se sei serena, se ti piace, se ci provi gusto, tutti sono più felici, ma se invece ti scoglioni, non stai bene e sei nervosa come un mamba nero dell'Africa centrale hai tutte le sante ragione di mollare.

E alle talebane di cui sopra, che mettono al rogo ciucci, biberon, e madri a mazzi di cinque alla volta, auguro solo che si possano giostrare tra i denti aguzzi di mille bambini pronti ad azzannare tette come vampiri scevri di qualsiasi pietà.

mercoledì 26 novembre 2014

INSTAGNAM Le ricette di Mamma Mad



Il Papi in un'altra vita era uno scimpanzè, o giù di lì. Compra le banane al posto del pane. Ne mangia due al giorno. Le acquista a caschi e rientra a casa come un giovane Tarzan in cerca di ristoro. Riempie il centrotavola, ne mangia una o due e poi decide di giocare al pistolero col Polpetta e così, alla fine, io mi ritrovo il cesto della frutta che sembra un Caravaggio indisposto.

Le banane rimangono lì e io devo buttarle perché non so mai che farne. Bene! Oggi risolviamo il problema! Mamma Mad ci da la ricetta di questo squisito plumcake alle banane che, oltre a farvi smaltire le famose banane mature che nessuno mangia mai, sazierà a dovere gli eventuali gorilla che popolano la casa.


PLUMCAKE ALLE BANANE

420 gr di farina
60 gr di zucchero
2 cucchiaini di polvere lievitante
1/2 cucchiaino di bicarbonato
1/4 di cucchiaino  di sale
2 o 3 banane molto mature
60-80 gr di burro
2 cucchiai di latte
2 uova

Sbattere uova e zucchero. Aggiungere il burro fuso fatto raffreddare e le banane schiacciate con la forchetta, o meglio ancora frullate con il latte (suggerisco latte di riso che è dolce).
Aggiungere la farina e per ultimi bicarbonato, lievito e un pizzico di sale.
Imburrare uno stampo da plumcake e infornare a 180 gradi per 30-40 minuti.
Fate la prova stecchino per verificare la cottura.

lunedì 17 novembre 2014

La mammitudine, ovvero come lasciarsi infettare da un figlio.

Ero convinta, giuro, che non mi sarebbe mai successo. Accendevo l'autoradio e mi imbattevo nell'album post-partum della Nannini e pensavo "eccone un'altra che si è riconglionita" e ovviamente lo dicevo con una nota di disprezzo, perché le canzoni non mi ricordavano neppure lontanamente la Nannini folle e mascolina della mia adolescenza. Poi cambiavo frequenza, incrociavo la nuova canzone di Elisa e dovevo spegnere di botto, perché mi scendeva la pressione al punto che era un attimo uscire di strada e stamparsi contro un muro. Anche lei, madre da poco, accusava artisticamente la presenza di ben due figli.
Poi è nato il Polpetta e, per non incorrere in errori di sorta, mi sono tenuta distante dalla scrittura per un certo numero di mesi. Tra una poppata e l'altra l'ormone entrava in fibrillazione e guardavo mio figlio sospirando con occhi da gatta in calore. Una mattina mi sono scoperta in bagno che canticchiavo la Pausini e lì, davanti allo specchio sporco di dentrificio, mi sono guardata con orrore.
Ma ancora non ero convinta, ancora speravo di potercela fare.
Due giorni fa, invece, controllavo la bozza di un testo a cui sto lavorando da mesi e scoprivo che in 30 pagine ero riuscita ad infilare la parola mamma per ben 10 volte. E il testo non doveva parlare di madri! Questo è il punto che oserei definire drammatico. Eccomi dunque davanti al male supremo di ogni creativo: la sbandata. Che sia amore, droga, o un figlio dunque. Ero convinta che non mi sarebbe mai accaduto e invece ora mi ritrovo a stabilire una diagnosi.
E' vero. Sono affetta da mammitudine.

Sono chiaramente schiava del Polpetta e spero di esserlo ancora per molto tempo, perché questa schiavitù mi ha guarita dalla frustrazione di essere talmente libera da dovermi sentire sola.
Spero di avere il tempo di vederlo andare via di casa un giorno e di poterlo salutare con un bacio. Spero che i miei spazi vuoti continuino a riempirsi da soli con i miei tasti pigiati sul pc e con la pace che avverto negli echi del mio cuore gonfio di mammitudine. Spero che la serenità non mi abbandoni nei momenti più importanti per mio figlio, nei momenti più importanti per me. Perché oggi la mia lucidità mentale sta tutta lì, dentro le pieghe del suo collo, e lì sta anche la mia serenità e sono concetti che vanno di pari passo. Un domani non so, non so cosa mi aspetta, forse di mammitudine si muore, forse invece si cambia un'altra volta e si diventa altro ancora.
Il trucco sta nell'accettare il cambiamento. Un figlio ti toglie un sacco di cose, cose che rimpiangi, ma te ne restituisce altre che non riuscirai mai a spiegare a chi figli non ne ha.
Ecco, io non avevo figli, e mi schifavo parecchio di chi ne aveva. Ora se mi guardo con gli occhi di allora mi schifo con lo stesso trasporto, ma la risata che mi esce in contemporanea sancisce la pace interiore che ho ora nel rileggermi così schifosamente mamma e così schifosamente felice.

venerdì 7 novembre 2014

Grazie, signorina Grey.

Rientro da un lungo periodo di pausa blog. Impegni importanti di cui spero di potervi parlare a breve. Avevo meditato di affidare la gestione dei post al Papi, ma temevo una sua ritorsione nei miei confronti e il rischio era effettivamente altissimo. Avevo anche pensato di assoldare delle mamme collaborative pronte a darmi il cambio nella narrazione, come succede in piattaforme più importanti della mia, ma ritagliarsi del tempo per scrivere non è cosa facile e quindi ho accantonato l'idea. Perché scrivere è un po' come uscire apposta per comprarsi un cerchietto, pensi che ti piacerebbe un casino, ma poi decidi che puoi farne a meno. Il bambino deve cenare alle sette in punto; devi fare la spesa; devi presentarti al lavoro - quello retribuito - e tra i devi e puoi, si sa, che ad averla vinta sono sempre i primi. Quindi niente cerchietto e giù capelli tra gli occhi, e giù pensieri.
E allora, quando non riesco a scrivere, quando mi vorrei rapare dalla testa tutte quelle nostalgie spinose, quando mi prude un po' il cuore e non so come grattarmelo a fondo per far sparire la smania, arrivo a casa e inizio a raccogliere i giochi sparsi sul pavimento. Al limitar della pace interiore mi taglia la strada il Polpetta. Sfreccia a bordo del suo quadriciclo, si schianta contro il muro - perché non sa sterzare - e piange. Realizzo che c'è ancora da lavorare, parecchio da lavorare, almeno fino all'ora della nanna.
Ci diamo i turni. Un po' io, un po' il Papi e, al passaggio di testimone, ci fiondiamo sul web e navighiamo, chattiamo, mettiamo due like. Dormiamo. E' il pentathlon della sera.
E poi arriva l'ora X! Coccolina. Canzoncina. Nanna. Ah! Sì! Oh! Nanna.
E così a un certo punto ci ritroviamo da soli, sul divano. Abbassiamo lo smartphone con aria di sfida, insieme, perché due cowboy abbassano sempre le armi insieme e ci fissiamo increduli. Nessun rumore all'orizzonte. Il buio della notte. I giochi sono dentro le ceste, e noi finalmente soli! 
E' così che, consensualmente, consumiamo le ultime fatiche fisiche davanti all'ennesima puntata di Grey's Anatomy! Perché - non me la menate con paternali da Topo Gigio eh - le serie televisive hanno salvato più matrimoni di un giudice di pace! Le serie televisive sono il meglio che due genitori possano chiedere. Il Papi copre i dialoghi migliori con i suoi commenti, io mi innervosisco, gli tiro un calcio, lui ride, mi gratta un tallone, io mi infastidisco e gli ritiro un calcio, lui ride, io rido. E' un rito che vale più di qualsiasi dialogo buttato lì a cazzo. Perché fare del banalissimo sesso, quando puoi startene lì, sul divano, alluce contro alluce, davanti ad una milza spappolata? Niente, io e il Papi dobbiamo molto alla signorina Grey.
Questo volevo dirvi stasera. 
Perché parlare fa bene, ma parlare troppo fa male. Perché alle volte perdersi in due dentro ad un divano, lasciarsi scivolare addosso il silenzio della casa, assaporare il gusto di non doversi rinfacciare nulla, è quasi un bene. E' quasi meglio. E' quasi amore.