giovedì 14 maggio 2015

E non mi stancherò mai di rallentare

Questa mattina esco di casa col Polpetta. Di corsa. Siamo in ritardo. Ancora in ritardo. Sempre in ritardo.
"Dai! Muoviti! Dai! Cammina!"
E' fermo sul marciapiede, col naso in aria. Alzo la testa, guardo. Non c'è niente. Il cielo è pulito e c'è un sole che spacca.
"Dai! Muoviti!"
Solleva un dito, un minuscolo ditino sopra la testa come se dovesse toccare qualcosa.

 "Il cielo è caldo"

Eccolo il mio bambino che mi rallenta il passo.
Eccolo il mio maestro che mi rispolvera il cuore.

martedì 12 maggio 2015

Le origini della Mammamorfosi

Io ho una mamma potentissima, è indubbia la mia impossibilità di eguagliarla nell'arte del sacrificio e della meraviglia. Spesso mi chiedo come abbia potuto gettarmi dentro questo mondo senza ripensamenti. E se li ha avuti - sicuramente li ha avuti - non mi ha mai permesso di percepirli.

Dieci anni fa mai avrei pensato di diventare madre, neppure tre anni fa a dire il vero, ma gli imprevisti spesso ci salvano e io sono sempre stata un'artista dell'improvvisazione. Dieci anni fa li trovavo insopportabili i bambini che piangevano e pensavo alla madre in questione come ad una depravata, un'inetta, una che nonsamicacomesifa, una che nondovevafareunfiglio, una che dovevacomprarsiuncane,ecco. Ero furiosa con la vita e della vita ne capivo quella giusta parte che avevo solo vagamente assaggiato.
Perché è così che funziona: un boccone alla volta li conosci i sapori, ma finché non ci metti la lingua godi solo a metà (fonzies docet).
Oggi - dieci anni dopo - sono andata a rintanarmi ai margini di un bosco, col Polpetta che dormiva su una panchina e il Papi che sussurrava ai suoi amici tronchi delle meraviglie dell'ombra e di altre amene oscurità. Eravamo lassù, nella location più fuori stagione dell'arco montano, dove gli alberghi erano tutti chiusi e delle dieci anime che abbiamo incontrato otto andavano a votare per le elezioni comunali, e due avevano sbagliato strada. E, beh, si stava dannatamente bene. Un prato, uno scivolo, un'altalena, tutti gli ingredienti giusti per starsene un po' sopra il mondo.
E poi, d'un tratto, il pianto di un bambino. Urlava, chiedeva, piangeva. E la mamma era lì, che lo inseguiva spingendosi in continuazione gli occhiali sul naso. Cercava, invocava un papà che non c'era (e poteva essere ovunque, oppure non esserci affatto, non è questo il punto) e allora la mamma stanca, stremata, piegata, gli prometteva gelati, altalene, sculaccioni. Tutto in una volta, tutto in mezzo metro di prato, il loro mezzo metro di prato.
Il punto è che a un certo punto mi sono dovuta allontanare. Non provavo alcuna forma di giudizio, stavo semplicemente male. Di che male, non ve lo so dire, credetemi. Avevo dentro questo spillo che premeva sul cuore e non riuscivo né a toglierlo, nè a spingerlo più a fondo.
Non ero più quella di dieci anni prima che tuttosapeva, ero quella che sedeva a pochi metri da una madre e che, accanto a lei, soffriva di un dolore non suo. Un dolore che nessuno può giudicare, ammaestare, arginare, delegare.

E poi ho sentito il Papi che cercava di convincere suo figlio a prestarsi nel tentativo di disinnescare quel minuscolo dolore e lo mandava, con il suo pallone, a cercare le attenzioni di quell'altro bambino, al di là del prato. Il Polpetta, in tutta risposta, sganciava un NO fumante come una pistolettata, perfettamente cosciente che quella era l'occasione giusta per iniziare a farsi i fatti suoi.
E così è stato, ci siamo seduti a terra e lo abbiamo aspettato mentre raccoglieva le sue pigne con minuziosa determinazione. A un certo punto però, tra lo scivolo e l'altalena, ha alzato lo sguardo, si è voltato verso l'altro bambino che, seduto a terra, sembrava aver messo radici tra i fiori e lo ha semplicemente guardato. Non si sono detti niente. Poi è tornato da me con il suo carico di legnetti e l'aria di chi ha troppe cose a cui pensare. L'altro bambino, in tutta risposta, si è alzato, si è fatto scivolare più volte il palmo della mano sotto il naso e ha raggiunto la sua mamma senza emettere più alcun suono. Un attimo dopo giocava tra le dita materne contandone i polpastrelli. Uno ad uno.
Me lo sono chiesta per ore cosa si siano detti col pensiero, con gli occhi, col nulla, ma non ho trovato risposta. Perchè non c'è una risposta. Perchè è un po' quello che ho provato io quando da dietro gli occhiali da sole guardavo di nascosto quell'altra mamma e non parlavo, sentivo e basta.
Le esperienze umane, tutte, quelle di amore e di dolore ci ammaccano un po', ci cambiano di volta in volta fino a renderci un po' più simili agli altri. Ma solo dopo. Dopo che ci sei passato, dopo che le hai vissute queste dannatissime cose di cui pensi di sapere tutto. Prima no, prima ci sono solo i giudizi, le facili indicazioni, le critiche senza ragione. Senza la vita che ci scorre addosso e carezza e spesso scortica e ferisce si resta sempre persone a metà.

Dieci anni fa non volevo avere figli. Dieci anni dopo sono felice di aver cambiato idea.