venerdì 25 dicembre 2015

50 sfumature di noi (forse 51, ecco)


365 giorni di erotismo studiato da tutti i punti di vista, il mio. Letterari e cinematografici, si intende.
E stasera?
Stasera il top.
È la vigilia di natale, voglio dire. Io me lo merito un regalo, no?
C'è gente che, in questo preciso istante, sarebbe disposta a mangiarsi pure la madre, nel vano tentativo di farla smettere di cucinare. 
E poi ci sono quelli che improvvisano regali, ravanano nell'armadio e tirano fuori quel pullover verdinospedale che qualcuno deve pur avergli rifilato in qualche modo, ma c'è l'amnesia che si sostituisce alla redenzione e allora lo reincartano, così, tanto per liberarsene e poter santificare qualche altro essere vivente.
E poi ci sono milioni di genitori che - proprio ora - chiudono pacchi grandi quanto un divano, e attaccano lo scotch sempre nei soliti punti sbagliati e allora lo staccano e scrostano la carta dai rispettivi colori e mimano una bestemmia, ma non la dicono. Sia mai. È la vigilia di natale e poi c'è il bimbo che dorme, di là, beato. E che si fa quando il bimbo dorme così beato, eh? Che si fa?

Io ho già incartato tutto e ho cenato con pane e prosciutto.
Sto pronta! No?

E allora lo vedo arrivare, con un rotolo di nastro adesivo in mano - no scotch, eh... ragazze attenzione! Quello che il Papi stringe in mano è proprio nastro adesivo! Quello che usano i muratori! Gli elettricisti! Quello che vendono in ferramenta! - e mi dico che sì, cazzo, ci siamo! Il Papi ha incrociato Mr Grey da Laroy Merlin e io posso solo ringraziare quel vecchio rincoglionito di Babbo Natale che negli ultimi tre anni se ne è un po' fottuto delle mie quartine spedite in Lapponia, che sto giro l'ha capita l'antifona e se l'è pure imparate a memoria le rime!
Mi lascio quindi fasciare i polsi e nel mentre sogghigno copiosamente. Poi lo guardo mentre afferra un cavo di luminarie, ci spoglia l'albero e me le stringe addosso e mi dico che, diavolo d'un Papi, quando si mette è più brillante di un rossetto Avon. Non ho via di scampo!

EVVIVA!
YUHU!
WOWOW!

Mi tappa la bocca.
Mi tappa la bocca?!
Pennarello.
Pennarello?!
Macchina fotografica.
Macchina fotografica?!

No. Ragazzi! Che cazzo succede?!
Dov'è Mr Grey?! Dove sono i giri della morte?! Ma, soprattutto, dov'è il mio cellulare?!

No! Papi! Metti giù il mio telefono! Non la puoi postare quella cazzo di foto! Io ODIO il natale! Io non li farò MAI gli auguri al mondo intero! Io le mando a fare in culo le persone! Io non lo dico BUON NATALE! Piuttosto mi faccio mettere il glitter sulle unghie dei piedi! Piuttosto mi infilo duecentododici bigodini in testa! Piuttosto mi limono un piatto di trippa! Piuttosto...

...

Vabbè, fate i bravi e se stanotte vi amate tra gli aghi di pino, fatelo con giudizio. Mi raccomando, che io vi penso.

Tutti.

E merry christmas, eh.

domenica 22 novembre 2015

È (quasi) natale. Cazzo.

Dovevate dirmelo. Era vostro dovere avvisarmi.
Non ho neppure digerito la castagnata dei morti, sto ancora vaneggiando sul dodicesimo mojito di fine agosto e voi non me lo avete detto! Ci sono cose che le madri sono tenute a dire! Non ai figli, no, ma alle altre madri, alle povere primipare, a quelle che non partoriscono sapute e che sono pronte a mungere tette, a palleggiare neonati, ad aspirare muco, ma non lo sanno!

n.o.n.l.o.s.a.n.n.o.

Perchè questa cosa non sta scritta da nessuna parte e poi quelle uniche volte in cui ci si imbatte nell'evento fingi pure di non vederlo e, proprio quando stai per metterti in salvo, decidi di smettere di fingere e ti improvvisi Nostradamus e lo urli ai quattro venti, stracciandoti le vesti, che TU, donna emancipata che si è fumata anche i volantini della coop pur di mostrarsi abbastanza mascolina, non entrerai mai in un negozio di giocattoli il venti di novembre per spendere la tua mensilità in un quintale di plastica e bulloni! Che non ti ridurrai MAI a strusciare dentro il tuo sudario in goretex per pedinare la tizia che si è portata via l'ultimo esemplare di un macrocefalo biondo dall'occhio vitreo! Che non lo farai MAI-MAI-MAI di andare su internet e contattare la peggio gente per acquistare al mercato nero una sorta di minimacchinina guidata da un bulldog con la zeppola!

MAI-MAI-MAI...
...un cazzo!

Lo farai e non sarai cosciente di farlo. Ci andrai in quel dannato superstore e sarà persino in pausa pranzo, convinta di fottere gli altri genitori. Ci andrai! Perchè tuo marito te l'ha ribadito tredici volte la sera prima, e giureresti di averlo sentito blaterare persino nel sonno, che da un rapido consulto dei ventisei volantini appesi in bacheca quello del superstore è il prezzo più conveniente. E accadrà e tu lascerai che accada e ti sentirai persino grata della fatica fatta per sputtanare le tue promesse di indipendenza.
Lo farai e sarà esattamente così...
Ti dirai che è il venti di novembre e che puoi andarci tranquilla al megastore, che i volantini pascolano nelle bussole della posta da una settimanella scarsa e che c'è la crisi, c'è la guerra, c'è la pace, c'è che tutti hanno da dire e fare altro e allora puoi vestirti di campanellini e entrarci scalza in quella corsia di luci e colori perchè tanto niente e nessuno potrà mai castigare il tuo karma.
SQUAT!
Il primo lo fai che neppure te ne accorgi. Ti pieghi, e ti ripieghi, ti bruciano i muscoli ma non lo senti tanta è la concentrazione nel controllare per la trentaduesima volta il doppiofondo degli scaffali. E solo davanti alla commessa che ti darà il sold out, solo allora accuserai il primo tremore, il primo cedimento muscolare.
TLIN!
Il Polpetta è stato chiaro. Questo è il suo primo Natale in stereo e lo ha detto, esplicitamente, senza mangiarsi nessunissima parola: quartier generale! quartier generale!
Eccheè?
Velodicoio! Un ammasso di plastica colorata su cui far scivolare una certa quantità di cagnolini ammaestrati da un bimbominchia munito di iphone8.
Eppure non ce l'ho il cuore per fingere di non aver sentito. Non è più il bambolo mumu di un anno fa e io non posso più dirgli che il legno colorato con il succo di pomodoro è figo da far paura, non posso più fargli credere che i cubetti monocromatici da impilare in tinta con le mie unghie sono la cosa più interessante di questa terra.
OH! OH! OH!
Non posso più imporgli la mia, capite? Ma non dovevo scontrarmi con lui solo a sedici anni per il motorino? Non era questo il primo intoppo tra me il mio giganterrimo amore nei suoi confronti!?

Il punto è un altro però... il venti di novembre il quartier generale è chiaramente ESAURITO
MALEDETTE VOI!
Solo ora vi vedo mentre vi avvicinate allo scaffale della Paw Patrol come delle vietcong addestrate  e controllate la corsia alle vostre spalle e vi lanciate verso l'ultimo residuato bellico di plastica e bulloni! Solo ora vi vedo, mentre ve ne andate sogghignando e vi voltate e mi guardate e pensate poverasfigata.
Ebbene se credete di esservi giocate il nobel per la pace con questo gesto orribile, scordatevelo! Accusato il colpo ho poi sferrato il mio di rimando e ne vado talmente fiera che non ho il coraggio di guardarmi allo specchio, perchè lo so, lo so che c'ho scritto stronza in fronte.

Oggi ho varcato la soglia dell'ennesimo negozio di giocattoli, e no, non cercavo il quartier generale, perchè il Polpetta nel mentre aveva lanciato un altro messaggio subliminale dandomi la salvifica alternativa. Entravo e compravo carta rossa per imballare l'acquisto già fatto altrove e mentre ero in coda alla cassa, mentre guardavo le altre madri che, funamboliche, sostenevano in bilico su un piede solo il peso di dodici puzzle di Violetta, ho notato una giovane donna abbracciata al suo camion bianco e grigio, quello che porta in giro i sette fantomatici cagnolini di cui sopra, quello che io - perlappunto - ho comprato in offerta al megastore dopo essermelo guadagnato a suon di gomitate. Del resto la commessa me l'aveva detto che non poteva garantire un riassortimento e aveva sottolineato che ero stata fortunata ad accaparrarmelo e mi aveva anche saggiamente consigliato di correre dritta alla cassa e di infilarmelo poi sotto il giaccone e di tenermelo stretta alle tette finchè non fossi giunta sana e salva fino alla macchina.

La giovane madre se lo stringeva altrettanto con forza alle sue di tette, guardava il marito e sogghignava un "siamo fortunati! sai, era l'ultimo".
PIT!
Il codice a barre alla cassa sgranava un rosario di 95 euro!
Ok, lo ammetto, stavo per buttarmi come Buffon ai mondiali, ero pronta ad infilarmi tra lei il bancomat, stavo per farlo! Ma poi non l'ho fatto. La mia dea interiore si è svegliata dai postumi dell'ultima sbornia per tirarmi il lobo destro dell'orecchio e sussurrare: perdonala, perchè non sa quello che fa...

Io quel camion, in offerta, al megastore, me lo ero portava via con dei misererrimi 50 euro e questo alle volte si chiama culo. E allora la prima cosa che ho pensato incrociando i gelidi occhi azzurri del babbo natale posto all'uscita del negozio è stata che quello della madre è tanto il mestiere dell'amore quanto il mestiere della stronza.

E questo è il mio primo pensiero natalizio, pensate un po'...

E il vostro? Dai ditemelo, ma toglietevo quel rosa ciclamino che vi imbelletta le gote, tanto lo so che siete stronze pure voi.

Anche a Natale.

martedì 10 novembre 2015

I multipli di uno.


Spiegare a un figlio unico cosa si prova a dividere spazi e crescita (e vita) con un altro figlio unico, non è una cosa facile.
Ecco perchè voto per le famiglie numerose, perchè sono ricche di figli unici che fanno a botte e che alle volte si amano e alle volte si detestano. Fratelli o sorelle che ti obbligano a crescere con un confronto continuo di fastidi e meraviglie, personaggi che ti popolano i paesaggi e ti scartavetrano per bene le emozioni. E così varchi la soglia della fase adulta che ti sei anche un po' già rotto i coglioni, ma in compenso hai un armadio pieno di armi che sai imbracciare e di cui non potrai più fare a meno.

Cos'è una famiglia, mamma?
Me l'ha chiesto ieri il Polpetta.
Tutti grandi domande in casa 'sto periodo, ma tranquilli non siamo fenomeni, è il momento che chiama analisi e alle analisi bisogna rispondere altrimenti ti inceppi, altrimenti ti ammali.
Cos'è una famiglia?
Ho sospirato. Ho sorriso tirandomi fuori i denti e gli ho battuto sul torace con un dito.
È tutto quello che qui dentro fa rumore. Lo senti il rumore, Nic?
Lui mi ha guardata e ha fatto no con la testa. Poi però si è perso dentro un sorriso sghembo, si è spinto in avanti e mi ha baciata.
Quel bacio ha fatto un gran rumore.

Ed è lo stesso rumore che fa il telefono quando riattacco e dall'altra parte c'è mio fratello. Il cuore martella. Stesso ritmo, stessa costanza. Perchè in ogni famiglia c'è sempre qualcuno che prende le sembianze di un boomerang: scompare all'orizzonte e poi ti riappare davanti. E le mie mani si alzano sempre e lo afferrano al volo, proprio non ce la faccio a lasciare la presa. È un impulso che non ha spiegazioni. E tutte le volte il cuore si ribalta e tutte le volte fa sempre quell'identico indefinibile rumore.

Un giorno lo registrerò e ve lo farò sentire, per ora, fidatevi di me che valgo un bel nulla, il suono che sento quando apro la porta a quella testa così diversa dalla mia è sempre lo stesso. Ed è simile ad un vecchio registratore di cassa, quelli che ormai vediamo solo nei film, quelli dove alla fine della moltiplicazione c'è un "plin" che suona e stabilisce il risultato. Un fratello è quella moltiplicazione lì, è il vostro numero che torna, è il singolo che diventa doppio, è un poco che diventa più. Perchè uno per due non fa mai uno, fa sempre due.

E sì, quel bidoncino biondo lassù sono io. E quell'altro spaventapasseri è lui. E forse già la vedevamo, seduti in mezzo a quell'erba secca, con i sassi piantati nel culo e perfetti come non mai, la necessità assurda di far contenti mamma e papà. E già ridevamo di noi, perché se lo provi lo sai che dell'amore la parte più faticosa è la famiglia, e allora ti fai andare bene tutto e impari a diventare un po' l'uno e un po' l'altro. 

E io sarò sempre un po' lui e lui sarà sempre un po' me.


martedì 18 agosto 2015

Libro nuovo, vita nuova.



Ok. Non è proprio un argomento da mamme, ma mi riguarda talmente tanto che non posso che condividerlo con voi. Anche perché giustifica la mia latitanza, almeno in parte.
 
In questi mesi ho scalato vette, ho attraversato latitudini e mosso piedi dentro terreni che sono spesso risultati scomodi, anche la roccia che sembra più solida alla fine frana. Ho percorso chilometri di fatica e freddo e, qualche volta, paura.
Io adesso vi lascio questa piccola cosa, ma fatene ciò che ritenete più opportuno. Un libro è un libro, ma un libro dove ci sono io ecco, è un libro diverso. Almeno per me, ovvio.
 
Il gigante bianco è uscito ed eccolo. Olivia e Tobia vi guideranno, con i loro occhi fatti di inchiostro e cielo, con le loro mani sottili come fogli, con lo sguardo di chi è ancora animato dall'innocenza più profonda.
 
È una storia diversa dalle mie, una finestra sul mondo.
 
In questi anni il cambiamento mi ha resa una persona nuova. Non dico migliore, no, dico nuova. In questi ultimi due anni i miei occhi si sono abituati ad osservare il mondo dal metro in giù e giravo ormai talmente china su mio figlio che tirar su la schiena non era un'azione così facile da compiere. Questo libro mi ha costretta a rialzare gli occhi, a guardare in alto, fin dentro le nuvole. Lì, su quella cima, ho ritrovato il mio naso di bambina, la guancia tonda di chi ho amato profondamente, le nostre mani piccole, i nostri occhi doppi. E alle volte, se posso, fa bene. Fa bene tornare indietro e riguardarsi da lontano, per ripartire da quei sogni lì, che non sono quelli dei nostri figli, sono proprio i nostri. Non è vero che nasciamo vuoti, si viene al mondo colmi di meraviglia, è l'urgenza di crescere che spesso ci consuma ai bordi e allora finiamo per disperdere tutto quello che eravamo in origine.
 
Per essere un buon doppio, devi essere un singolo non dico buono, ma almeno accettabile.
 
Per chi desiderasse averne una copia (o due, se siete proprio dei lettori seriali) può trovarlo in vendita ovviamente al bookshop del MUSE - Museo delle Scienze di Trento e in alcune librerie della città.
 
Buona lettura lettori. Che l'avventura sia con voi.
Sempre.

venerdì 3 luglio 2015

Outing 1.6

Questa mattina il Polpetta ha aperto gli occhi, ha guardato il soffitto e si è perso dentro un sospiro.
 
"Non ci zono più la 'una e le ztelle"
 
Io, che da settimane dormo poco - veramente poco - e che in quel mentre ero impietrita dal sonno ho espresso la mia risposta con un mugugno prossimo al rantolo.
Lui, che non si accontenta mai di una sola spiegazione, si è messo seduto, mi ha guardata per bene e, solo dopo essersi sfilato una caccola dal naso ha rimesso ogni cosa al suo posto.
 
"La 'una e le ztelle zono andate a fare un picnic."
 
Ok. Volevo quasi strapparmi il cuore e donarglielo grondante d'amore, ma invece - e solo perché mi sembrava più pratico - l'ho abbracciato blaterando scongiuri e preghiere.
 
Credo di avergli chiesto ottocentotrentaduevolte di non cambiare mai, di restare puro così, meraviglioso così, per sempre.
 
Lui in risposta mi è scivolato dalle braccia e ha raggiunto la cucina urlando: "biccotto!"

Cuoredimamma.

E' proprio vero che la vita è solo una questione di stomaco.

sabato 13 giugno 2015

Piove, senti come piove



C'è che decidi di prendere l'estate di petto e imbastisci così il rito dell'uscita dopo cena. La luce si allunga fin quasi a non esaurirsi mai, la gelateria è sempre aperta, il pallone non tiene più una briciola di polvere e la mamma si porta appresso i suoi pensieri senza darli troppo a vedere. Anzi, cerca pure di disperderli nel vento, alzando gli occhi al cielo di nascosto e ripetendosi spesso e volentieri che quel tempo lì è di suo figlio e gli spetta di dovere.
Io stasera mica lo volevo far vagare dentro ai miei cirrostrati, ma solo perchè invocavano pioggia e a noi la pioggia, d'estate, c'ha pure un po' rotto le palle. Soprattutto quella che ti bussa dentro e ti fa piangere, e ti fa dimenticare che da mamma piangere è diverso.
E me lo sono chiesta, circa ottocentoventiduevolte (e mezza), questa settimana. Sì, mi dicevo: ma il Polpetta davanti alle mie lacrime che penserà?
A una mamma è concesso piangere?
E se sì, ci sono dei motivi validi e dei motivi meno importanti, percui, zitta e muta, ingoia e digerisci?
C'ho pensato. Tanto.
E poi m'ha risposto il cielo, stasera.
E così, mentre noi si giocava in tre sul prato del parco giochi con l'anima leggera di chi ricomincia a sentirsi ganzo al punto giusto, uno spettro di duemila nubi nere si è piallato per bene l'orizzonte scaricandoci addosso una bomba d'acqua che neanche l'ultimo giorno di scuola di diciotto anni fa, al parco Santa Chiara, dove ad ingoiarti erano i gavettoni e qualche pomiciata che solo la Nannini avrebbe saputo mettere in musica.
E mentre correvo, a una velocità prossima a quella del suono, sono stata raggiunta dalla cristallina risata del Polpetta. I suoi riccioli che raccoglievano l'acqua, la bocca spalancata e gli occhi, voltati nella mia direzione, che mi guardavano come se quella corsa sotto il diluvio universale semplicemente non dovesse interrompersi mai.
Avevamo la faccia zuppa e poteva essere pioggia, poteva essere pianto. Io in quel momento ero una bambina, una sorella, una figlia, un cuore che come una spugna raccoglie e conserva tutto quello che gli altri gli versano addosso sotto l'onere dell'amore eterno. E il Polpetta era il mio elastico che si tendeva per farmi tornare indietro.
Nel condominio del mio cuore ci si vive in tanti e c'è sempre qualcuno che fa più baccano degli altri e non mi lascia dormire.
Un figlio è quella mano che spinge sul citofono senza mai sbagliare l'interno. E una madre è quella mano che apre la porta un secondo prima che il citofono scivoli dentro la sua solita nota stonata.

Il pianto non è una bestemmia, non è un peccato, non è una condanna. Il pianto si spiega, si giustifica, qualche volta - persino - si insegna, perchè se non soffrissimo non sapremmo neppure amare.

Questo penso.
Forse sbaglio.
Forse no.




giovedì 14 maggio 2015

E non mi stancherò mai di rallentare

Questa mattina esco di casa col Polpetta. Di corsa. Siamo in ritardo. Ancora in ritardo. Sempre in ritardo.
"Dai! Muoviti! Dai! Cammina!"
E' fermo sul marciapiede, col naso in aria. Alzo la testa, guardo. Non c'è niente. Il cielo è pulito e c'è un sole che spacca.
"Dai! Muoviti!"
Solleva un dito, un minuscolo ditino sopra la testa come se dovesse toccare qualcosa.

 "Il cielo è caldo"

Eccolo il mio bambino che mi rallenta il passo.
Eccolo il mio maestro che mi rispolvera il cuore.

martedì 12 maggio 2015

Le origini della Mammamorfosi

Io ho una mamma potentissima, è indubbia la mia impossibilità di eguagliarla nell'arte del sacrificio e della meraviglia. Spesso mi chiedo come abbia potuto gettarmi dentro questo mondo senza ripensamenti. E se li ha avuti - sicuramente li ha avuti - non mi ha mai permesso di percepirli.

Dieci anni fa mai avrei pensato di diventare madre, neppure tre anni fa a dire il vero, ma gli imprevisti spesso ci salvano e io sono sempre stata un'artista dell'improvvisazione. Dieci anni fa li trovavo insopportabili i bambini che piangevano e pensavo alla madre in questione come ad una depravata, un'inetta, una che nonsamicacomesifa, una che nondovevafareunfiglio, una che dovevacomprarsiuncane,ecco. Ero furiosa con la vita e della vita ne capivo quella giusta parte che avevo solo vagamente assaggiato.
Perché è così che funziona: un boccone alla volta li conosci i sapori, ma finché non ci metti la lingua godi solo a metà (fonzies docet).
Oggi - dieci anni dopo - sono andata a rintanarmi ai margini di un bosco, col Polpetta che dormiva su una panchina e il Papi che sussurrava ai suoi amici tronchi delle meraviglie dell'ombra e di altre amene oscurità. Eravamo lassù, nella location più fuori stagione dell'arco montano, dove gli alberghi erano tutti chiusi e delle dieci anime che abbiamo incontrato otto andavano a votare per le elezioni comunali, e due avevano sbagliato strada. E, beh, si stava dannatamente bene. Un prato, uno scivolo, un'altalena, tutti gli ingredienti giusti per starsene un po' sopra il mondo.
E poi, d'un tratto, il pianto di un bambino. Urlava, chiedeva, piangeva. E la mamma era lì, che lo inseguiva spingendosi in continuazione gli occhiali sul naso. Cercava, invocava un papà che non c'era (e poteva essere ovunque, oppure non esserci affatto, non è questo il punto) e allora la mamma stanca, stremata, piegata, gli prometteva gelati, altalene, sculaccioni. Tutto in una volta, tutto in mezzo metro di prato, il loro mezzo metro di prato.
Il punto è che a un certo punto mi sono dovuta allontanare. Non provavo alcuna forma di giudizio, stavo semplicemente male. Di che male, non ve lo so dire, credetemi. Avevo dentro questo spillo che premeva sul cuore e non riuscivo né a toglierlo, nè a spingerlo più a fondo.
Non ero più quella di dieci anni prima che tuttosapeva, ero quella che sedeva a pochi metri da una madre e che, accanto a lei, soffriva di un dolore non suo. Un dolore che nessuno può giudicare, ammaestare, arginare, delegare.

E poi ho sentito il Papi che cercava di convincere suo figlio a prestarsi nel tentativo di disinnescare quel minuscolo dolore e lo mandava, con il suo pallone, a cercare le attenzioni di quell'altro bambino, al di là del prato. Il Polpetta, in tutta risposta, sganciava un NO fumante come una pistolettata, perfettamente cosciente che quella era l'occasione giusta per iniziare a farsi i fatti suoi.
E così è stato, ci siamo seduti a terra e lo abbiamo aspettato mentre raccoglieva le sue pigne con minuziosa determinazione. A un certo punto però, tra lo scivolo e l'altalena, ha alzato lo sguardo, si è voltato verso l'altro bambino che, seduto a terra, sembrava aver messo radici tra i fiori e lo ha semplicemente guardato. Non si sono detti niente. Poi è tornato da me con il suo carico di legnetti e l'aria di chi ha troppe cose a cui pensare. L'altro bambino, in tutta risposta, si è alzato, si è fatto scivolare più volte il palmo della mano sotto il naso e ha raggiunto la sua mamma senza emettere più alcun suono. Un attimo dopo giocava tra le dita materne contandone i polpastrelli. Uno ad uno.
Me lo sono chiesta per ore cosa si siano detti col pensiero, con gli occhi, col nulla, ma non ho trovato risposta. Perchè non c'è una risposta. Perchè è un po' quello che ho provato io quando da dietro gli occhiali da sole guardavo di nascosto quell'altra mamma e non parlavo, sentivo e basta.
Le esperienze umane, tutte, quelle di amore e di dolore ci ammaccano un po', ci cambiano di volta in volta fino a renderci un po' più simili agli altri. Ma solo dopo. Dopo che ci sei passato, dopo che le hai vissute queste dannatissime cose di cui pensi di sapere tutto. Prima no, prima ci sono solo i giudizi, le facili indicazioni, le critiche senza ragione. Senza la vita che ci scorre addosso e carezza e spesso scortica e ferisce si resta sempre persone a metà.

Dieci anni fa non volevo avere figli. Dieci anni dopo sono felice di aver cambiato idea.

martedì 28 aprile 2015

La settimana della Decadenza



Ma voi mi credete che ogni mattina la riga dell'eyeliner me la faccio col righello? Potrei avere una piuma d'oca appesa al pennino, tanto è la precisione con cui mi disegno l'espressione ogni mattina.
Ecco, nell'immagine sopra potete invece studiare il mio sguardo alla sera, quando rientro a casa e il Papi mi osserva in fretta, infila gli occhi nella minestra scongelata e non osa proferir verbo. Quasi. Spesso si inventa delle buffonate tipo darmi torto e per questo poi cerca rifugio dietro l'oblò della lavatrice che però, vi assicuro, non avvio mai.
E non lo so mica dove sbaglio. Credetemi.
Parlo del trucco. Ovvio. Che vi pensate? Io per il resto sono perfetta, eh.
Zero menate.
C'è che la cappella Sistina i suoi cinquecento anni se li porta meglio, io mi decompongo troppo in fretta. Non credete?
Che sia l'eyeliner troppo economico? Che sia il kajal troppo scadente?

Che sia che non dormo da circa quindici giorni?
Che sia che il Polpetta s'è fissato che il NO è un monosillabo che gli viene dannatamente bene?
Che sia che sempre lui, il mio amorepasticcinoadorato ha deciso che a pranzo mangia una volta sì e le altre tre preferisce insultarmi che neanche Cracco davanti ad un purè in busta? 
Che sia perchè sono caduta nel baratro dei TT come Alice nella tana del Bianconiglio?

Tutto può essere. Io però, volevo dirvi, ci tenevo proprio eh, che io sono così. Proprio come mi vedete sopra.
Perchè poi uno apre Instagram e vede tutte ste mamme che pubblicano foto di sorrisi splendenti e occhi sbrilluccicosi. Oppure becca la Belen che in babydoll rosso corallo frigge l'ovetto al tenero Santi, e quest'ominide poi ci crede eh, che le mamme son tutte fighe e felici, e che i bimbi sorridono sempre. Che voi, ditemi, l'avete mai postata su facebook una foto di vostro figlio che vi piscia in mano? O una che mentre piange incarna perfettamente il profilo di Nosferatu? Eh no. No perchè i bimbi son tutti belli e le mamme son tutte fighe.
Manco io, eh, che vi credete?
Ecco perchè inizio.
Perchè stiamo pure un po' messe così: l'eyeliner che scende, gli addominali a tapparella, il culo che c'ha più righe di un sudoku, le tette... (quali tette?!) e l'abbigliamento disagiato di chi non sa mai che cazzo mettersi al mattino. E ti guardi e dici, ma io mica l'avevo detto che facevo sta fine! E allora corri dal trucco e parrucco, sfoderi i camperos che indossavi a diciottanni e ti metti in posa davanti allo specchio. Ti miri e rimiri. E alla fine non ti riconosci mica, eh. Lo specchio è vuoto, Alice è scomparsa.
Dov'è il mio pigiama col pelo da orso? Dove sono i miei calzettoni antiscivolo? Dov'è il mio Polpetta che sgrana negazioni come una vedova alle prese col rosario?
E allora corro da lui, lo prendo, scivolo un'altra volta dentro lo specchio e finalmente mi vedo: il glitter a metà strada tra la palpebra e il lobo sinistro e lui, sempre lui, che cancella l'ultimo tratto di fondotinta leccando come uno schnauzer nostalgico.
E' lui il mio Bianconiglio e io c'ho più lo sguardo da Brucaliffo, ma va bene uguale.
Il Paese delle Meraviglie e dietro l'angolo e, come tutte le Meraviglie che si rispettino, dentro uno scatto di Instagram non ci starebbe mai.


venerdì 13 marzo 2015

Ogni anno è per sempre.



Il mio capodanno è oggi. Io il trentuno dicembre neppure lo cago, vado a dormire come i polli e mi alzo con i galli. Il tredici marzo invece lo vivo come il big bang. Tutte le volte. E al momento sono solo alla seconda.
Il Polpetta oggi compie due anni. Due.
C'è una sostanza che salva noi donne dal parto, che permette alla società di riprodursi nei secoli, che ci rincoglionisce al punto da volerlo riprovare quel dolore assurdo di mettere al mondo qualcuno. E' l'inibina. Cara, dolcissima inibina, che ogni anno, alla stessa ora, anche davanti al banco del pane, ci spari in vena il desiderio assurdo di tornare al travaglio, all'espulsione, alla magia del suo corpo spalmato di meconio come se fosse nutella, alla meraviglia dell'averlo tra le braccia chiedendosi "e tu chi sei?". Al nostro dolore. Al nostro amore.
A me sale sempre un punto di tristezza che no so mai dove infilare. Perchè se ripenso a quanto ho scongiurato un cesareo, uno spinello, una botta in testa, penso anche che sono impazzita, che non ho logica, che sono odiosamente terrena. Eppure mi tocco la pancia e mi ostino a volerlo ricordare quel globo immenso in cui se ne stava comodo, lui, a dialogare con i miei organi interni.
Ti sale pure una lacrima, se sei mamma. Perchè non è a rifarne un altro che soddisfi l'esigenza del sentirlo ancora, perchè lui è lui e resterà così per sempre.
E' un amore distinto, un pensiero continuo, una preoccupazione, una gioia, una stanchezza immemore, un battito raddoppiato.
E poi ripenso all'allattamento, ai risvegli, alle pisciatine sparate ovunque, di notte, mentre con un occhio dormivo ancora e con l'altro cercavo di trovare la chiusura del pannolino, sempre al contrario, sempre sbagliando qualcosa. E anche gli errori, tutti quegli errori che la legge umana mi ha messo in mano, li ricordo con la stessa intensità con cui guardo mio figlio che è fatto della medesima materia imperfetta e che non sa cosa aspettarsi oltre ai bacini sul collo e ai giri in altalena. Perchè la vita dovrebbe essere popolata solo di bacini sul collo e di giri in altalena.
E allora inizio il conto alla rovescia, mi chiudo alle spalle un altro anno di rincorse, slanci pazzeschi, schianti paurosi, perchè l'amore è così, è esplosione, quiete, tempesta.
E lui è così, è il battito mancante del mio cuore, quello che si è portato via due anni fa, venendo al mondo. Popolando il mondo.

Buon compleanno Nicolò,
per sempre e ancora.

la mamma

martedì 24 febbraio 2015

Outing 1.5

Lo ammetto. Spesso fingo di capire il Polpetta. Come con i turisti che in piena estate mi fermano sotto il sole e io, che bramo l'ombra, li mando sempre avanti. 
Go straight on. Go straight on.
Poveri.
E il Polpetta che adesso cerca di esprimersi componendo frasi dal sapor mediorientale si affligge davanti alla mia dolosa ignoranza materna.
Arriva con il suo cambogiano stretto e mi racconta di un qualcosa che ha visto o che vorrebbe vedere o che gli piacerebbe poter toccare e io rispondo "ma dai amore? ma che bello!".
Sono un'idiota, lo so.
Anche perché ho ampie probabilità che con quella sua cadenza da cosacco di San Pietroburgo mi stia in realtà avvisando che la macchina, perennemente in divieto di sosta, è stata avvicinata da un gruppo di vigili urbani in pausa cicca.
Ecco perché pago tutte queste multe, non perché parcheggio dove la mia creatività ama rinnovare il suo voto, ma perché non ascolto mio figlio.

Siate più saggi voi che avete figli a cui piace narrare dello sciabordio del mare. Io vado dal mio piccolo picchio a farmi beccare il naso, che tra un sorriso e una capriola verbale gli scappa pure di darmi un bacio.

Go straight on. Go straight on.

lunedì 16 febbraio 2015

Lavori in corso



Qui si lavora di brutto. Un blog vive di aggiornamenti e io ultimamente riesco a starci poco. Oltre al lavoro da stipendio fisso mensile, mi dedico in notturna a scritture e riscritture di cui non mi interrogo troppo, poco importa la loro destinazione, il punto è che mi fanno stare bene. E quindi work in progress! E come vedete dall'immagine lo faccio in condizioni precarie. Con un Polpetta che segue la mamma in tutti i luoghi e in tutti i laghi e una Peppa Pig che è più invadente di una suocera.

A prestissimo e... stay tuned!

venerdì 16 gennaio 2015

Polpetta: nome proprio di persona.



Ma voi come l'avete chiamato vostro figlio? Ma soprattutto, perché quel nome?

Ho il ricordo meraviglioso di una ragazza che al corso preparto raccontava di aver optato per un'Asia perché lei e il marito amavano viaggiare, ricordo di essermi chiesta cosa sarebbe accaduto se avessero coltivato la passione sfrenata per i salumi e mi sono immaginata una tenera frugoletta di nome Mortadella. Perché noi genitori riusciamo a dare il meglio quando affrontiamo questa difficile quanto romantica dinamica genitoriale e proprio in virtù di questa scelta, spesso, ci sentiamo anche dei gran fighi.
Ne ragionavo ieri con un'amica mentre discutevo dei nomi scelti per i protagonisti di un romanzo. E' così anche per un figlio, con l'unica variante che non sai come andrà a finire. Con un libro la storia ce l'hai davanti per intero e allora i nomi li scegli calibrando bene il tutto. A un metro e novantadue di bellezza maschile non potrei mai rivolgermi con un Bertoldino, ma tuo figlio mica lo sai se diventerà un metro e novantadue.
Zuleika, Baldassarre, Teodosio. Metti un nome, fai una storia. E prega che la storia stia in piedi perché poi lo sguardo di tuo figlio ti renderà il favore.
Certo, il Teodosio con la faccia di Ryan Gosling manderebbe in vacca il sistema, perché il solo sospirarne le vocali mi renderebbe il piacere di poterlo chiamare decine e decine di volte e allora quel nome, così lontano dalla mia mente superficialotta, assumerebbe un valore inimmaginabile. Ma un Teodosio di un metro e cinquantaquattro con la faccia da cavalluccio marino magari faticherebbe quei sei minuti in più a convincermi.
Forse anche dodici, ecco.
E' chiaro che è la persona che porta il nome e non viceversa, ma c'è  da dire che i genitori spesso si lasciano prendere la mano e sfornano misericordiose scelte anagrafiche.
Del resto il Polpetta è stato virtualmente battezzato dalla voracità di una donna che se lo ingoierebbe ogni mattina dentro un bacio e, per contro, sempre lui - lo so - maledirà questo nomignolo insulso e a dieci anni mi chiederà di smetterla - "dai, mamma! cazzo!"(ovviamente sbiadirò davanti al suo vocabolario) - e odierà le polpette proprio come le schifa ora: con supremo orrore.
Già.

Perché è così, sappiatelo, tanto ci avete messo a cercare quel nome, tanti libri, tanti mesi, tanti dibattiti e tanto lui ve lo rinfaccerà realizzando l'esatto contrario di ciò che voi avevate programmato, pensato, cesellato. Perché sta lì, in quel loro grado di autonomia biografica che sigillano il confine tra il vostro amarli e il loro essere, nel punto esatto dove iniziano a scrivere da soli la loro storia. Pensiamo di esserne noi gli autori e invece è l'esatto contrario, sono loro che ad ogni mutamento riadattano di pagina in pagina la nostra combattuta esistenza e lo fanno mettendo punti, andando a capo, esattamente dove noi invece ci avremmo voluto vedere una virgola.

E' l'imprevedibilità del destino. E' l'imprevedibilità dell'amore.

sabato 10 gennaio 2015

basta 'na jurnata 'e merd

Le giornate di merda servono. Se le guardi da un'altra prospettiva. E se hai un figlio è facile cambiare prospettiva, facilissimo. Basta che ti chini un po', poggi il culo ai talloni, e ti infili dentro ai suoi occhi. Ecco, da lì, puoi vedere tutto.

Stamattina tiravo il calzino antiscivolo derapando sul parquet tutta la rabbia che mi ero cucita addosso di notte. Problemi di lavoro, che sono pur sempre problemi, perché una è mamma, va bene, ma se deve lavorare, ha ottime probabilità di avere a che fare, ogni tot, con qualche stronzo impenitente, con qualche casino da sbrogliare. E come tutti gli esseri umani ci si incazza, anche se poi torniamo a casa.
Ecco, io a casa c'ero già.
Il Polpetta scaccolava il suo lugubre nasino raffreddato e fissava Peppa Pig con lo stesso sguardo acquoso con cui io mi perdevo dentro la tazzina del caffè.
D'improvviso, però, si gira e mi chiama. Io lo liquido con un "dopoamoredopo". Passano due minuti e mi richiama esplicitando una richiesta: biccotto. Allora mi alzo, vado lì, gli appoggio un biscotto sulle gambe e striscio in bagno con tutta l'intenzione di lavarmi i denti dentro otto minuti di totale autocommiserazione. D'improvviso, però, appare come un ologramma accanto alla mia gamba destra, mi fissa, punta il suo biscotto integro verso di me e dice: 'a mamma!, io allora lo guardo e dico "su amore, lo mangi da solo il biscotto, sei grande adesso, non ti devo imboccare". E lo riaccompagno al divano, dove me lo ripropone con la stessa identica formula: 'a mamma!. Allora mi siedo lo imbocco, gli faccio una carezza, lui si riperde tra i suoi pensieri fatti di cartoni animati e frollini al cioccolato e io mi rialzo lasciandolo lì con un altro biscotto identico al primo. Questa volta non riesco a superare il tappetto, lui salta giù dal divano, se ne fotte del fatto che Pedro Pony sia ricoverato in ospedale e corre appresso a quella minchiona di sua madre brandendo un innocuo biscottino.
'A mamma!. Urla. E io, finalmente, ascolto.
Mi siedo a terra, lo guardo, lui mi stropiccia sulla faccia il naso pieno di catarro, si siede sui miei talloni incrociati e si infila in bocca il biscotto, da solo. Fissa il muro, sgranocchia e ride.

Un figlio è come avere in soffitta un telescopio, sai che c'è, che ha il suo fottuto valore, ma ci guardi dentro una volta ogni tanto, perché è fatica, e allora ti limiti a guardare le stelle da lontano. Poi un giorno te lo ritrovi davanti, ti pieghi, ci sbirci dentro e ti accorgi che da quel punto, da quella prospettiva tutto assume un altro tono, un'altra dimensione, un'altra luce.

Spesso ci ostiniamo a volerli educare affinché possano fare tutto subito, a renderli precisi agli altri perché possano socializzare in fretta, ad insegnare ogni passaggio di vita come se fossimo gli unici detentori della verità, e invece qualche volta - ogni tanto, eh - bisognerebbe raschiare il culo a terra e lasciarci sgridare, riprendere, correggere.
Solo così si cresce. Solo così si impara.

E non parlo di loro. Parlo di noi.

domenica 4 gennaio 2015

A proposito di buoni propositi

Il mio buon proposito per il 2015 è vedere il fondo del cesto della biancheria. Non ne ho altri, perché questo è già di per sé superimpegnativo e in quattro giorni di nuova esistenza casalinga (quella che mi sono imposta a capodanno) ho giocato a memory svariate volte con i calzini spaiati che da un anno nascondevo in un cassetto, ho scoperto di avere cardigan interessanti che durante i saldi mi ero ripromessa di acquistare, ho ritrovato mutande che avevo dato per disperse e il dubbio più angosciante era dove le avevo perse... 
Insomma, benché la cinghia della lavatrice ad ogni centrifuga ululi come un licantropo innamorato, io vado avanti in questa mia avventura da casalinga, madre, donna, quasi perfetta.
Ovviamente di perfetto non c'è nulla.
Ho passato lo sgrassatore su tutta la cucina e ho scoperto di averla acquistata bianca, non color champagne. Ho pulito la cappa di design, che mi è costata come una berlina, con tutta l'ostinazione di cui sono capace e, quando alla dodicesima passata di panni magici, mi ci sono specchiata ho chiesto con aria truce se ero o non ero la mamma più brava del mondo e la cappa mi ha risposto, con quella sua voce da fumatrice accanita.

"Tu non sai cucinare, non ti piace pulire casa, ci sono giorni in cui scapperesti a gambe levate dai tuoi doveri. Eppure ami mostruosamente tuo figlio. Che te ne fotte di essere una brava mamma? Se cucinassi bene, se ti fossi tatuata sul bicipite la scritta Vorwerk, se ti incipriassi ogni giorno il viso come una geisha dalla mostruosa attitudine al sacrificio, risulteresti oltremodo antipatica. Concediti quindi queste tue molteplici imperfezioni perché quello che sei è già tanto, alle volte forse troppo."

E dopo un ultimo rantolo si è spenta.
Amo questa casa, dove tutto ciò che trovo, mi placa il cuore.
Gli anni nuovi passano e diventano subito vecchi, si riempiono dei nostri panni sporchi che spesso ci dimentichiamo di avere, fino al nuovo passaggio di proprietà, fino a quando decidiamo di lavarli, stenderli, farli nuovamente nostri. Ogni buon proposito è quindi sempre ben accetto, perché ci permette di alimentare una cosa che finisce quasi sempre dentro il cassetto dei calzini spaiati: la speranza.
Vado a spegnere la lavatrice. Quel suo urlo straziante deve essere placato, esattamente come i nostri sensi di colpa, esattamente come il nostro senso di inadeguatezza, esattamente come la vita che procede e che, ogni tanto, può concedersi anche delle pause. Quindi mi rimetto il pigiama e torno a fare un bel nulla.

Buon anno a tutti.