venerdì 5 settembre 2014

Tra letture e congetture. Lasciatevi vivere.

E' difficile spiegare perché ho iniziato a scrivere, ma è forse più difficile spiegare perché mi sono allontanata dalla carta stampata (o similari) proprio in prossimità del parto (e del conseguente fatidico arrivo). Avevo la scusa dell'ingombro fisico, prima, e dell'ingombro mentale poi. Avevo una pacca di scuse buone. Invece è successo (più o meno) questo: ho deciso di vivere.
Ci sono persone che cercano conforto in un buon dio, altre in una buona pastiglia. Ognuno sceglie, alle volte inconsapevolmente, una maniera per tenere a bada le proprie paurebarrainsicurezze. Ecco, io mi sono nascosta per anni dietro ai libri. Non uno solo, tutti quelli che trovavo. Panorami che non tradivano mai le aspettative, figure in cui mi potevo rifugiare senza pericolo. Poi ho rigirato la questione e ho iniziato a scrivere e qui era ancora più figo perché la regia di ogni realtà ce l'avevo io e gli spazi bianchi da riempire sono sempre stati la mia specialità.
Poi sono rimasta incinta.
Il primo impulso emotivo è stato quello di correre in libreria. Ho acquistato tre libri, subito, senza studiarli troppo. Erano sullo scaffale giusto e questo mi bastava. Poi ci hanno pensato gli amici e a casa sono arrivati svariati autori famosi - che non citerò - di svariati libri altrettanto famosi.
E niente. Non ho letto una sola riga. A dire il vero ho provato a sfogliarli, più volte, ma un po' la stanchezza, che non mi aiutava a seguire il filo dei pensieri, e un po' l'ansia, che tutti quei concettibarraaspettative, mi montavano dentro ho preferito abbandonare l'impresa nella convinzione che poi, dopo la nascita, avrei trovato l'intenzione giusta per affrontarli. Mi sbagliavo ancora.
Quando è nato il Polpetta, io - che ricordiamoci bene il Polpetta non l'avevo programmato - ho deciso che avrei smesso di eludere la realtà, e che avrei provato a vivere questa nuova vita per come mi veniva offerta: dandomi fiducia.
Ho sbagliato una quantità immane di volte, ho imparato esattamente dai miei errori, ho capito cosa gli andava bene, ho capito cosa gli andava male, ho imparato a metterlo a dormire "alla sua maniera", non alla maniera d'altri, forse sto facendo quello che qualche luminare ha già indicato sapientemente in qualche manuale dalla brossura figa, ma non ne sono cosciente, sono però cosciente di ciò che sono io e il Polpetta non mi pare particolarmente turbato dalla cosa, ne deduco che non sta andando poi così male.
Non mi sto tessendo le lodi, perché se solo sapeste quante volte ho rincorso un dubbio con le lacrime in tasca - litrate di lacrime in tasca - capireste che ho talmente tanto coraggio in corpo che non mi prenderebbero neppure per doppiare Pollon.
Possiamo metterci d'impegno nell'applicare tutto quello che qualche tizio figo ha detto o scritto o testato, ma la felicità di mio figlio, il senso di amore che potrà avvertire nella sua crescita, nella sua vita, non potrà mai essere stabilito con precisione millimetrica. E possiamo perderci per ore a giudicare l'operato di un'altra madre, ma non saremo mai quell'altra madre e forse se l'altra madre fa diversamente da noi è perché non ha bisogno di fare come noi. Anche in questo caso l'equazione è piuttosto semplice e il risultato è altrettanto immediato: lasciatevi vivere.

Smettete di cercare una risposta prima di avere l'adeguata domanda e provate a fare ciò che sentite di dover fare. E se sbagliate, pazienza, vi assicuro che il salamino che portate appeso al collo sarà l'unico su questa terra a guardarvi senza giudizio.
Una cara amica - tre volte madre - un giorno mi ha detto: le madri si sentono inadeguate per una vita intera. Ecco, io credo che la vita intera in questione non sia la loro, ma quella del proprio figlio. Perché ci proviamo tutte a confenzionarli bene, ma l'incarto poi se lo tolgono da soli e noi possiamo solo star lì ad amare, da lontano, nella convinzione che non sono stati i dodici anni di cosleeping a renderlo migliore, ma la meravigliosa pasta di cui è fatto. Che è un po' la nostra e un po' la sua.

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