mercoledì 17 settembre 2014

Notte prima degli esami


Avete presente quel vuoto che squarcia il panorama e che ti lascia col fiato sospeso? Un respiro mancato, un battito in meno. L'adrenalina che prova il funambolo prima di affrontare la corda sospesa. La paura, la fottuta paura, di non poter controllare tutto. Il vuoto prima degli esami, quel sbriciolarsi dentro ai libri convinti di non saperne mai abbastanza, quel nodo in fondo alla lingua, che scivola in gola e più giù non va mai. La maturità che viene avanti e sembra non accontentarsi mai delle risposte che sei pronto a dare.
E' un po' quello che provo io stanotte.
Domani si entra in ospedale. Niente di grave. Tranquilli. Venerdì operano il Polpetta. Niente di grave. Tranquilli. Eppure penso a cosa provo. Un qualcosa di chiaramente soggettivo, in cui un battito manca sempre.
Perché il Polpetta ai miei occhi è piccolo, più piccolo del piccolo e io sono vulnerabile, più vulnerabile del vulnerabile. Perché quando una mamma porta un figlio in ospedale, transita dentro se stessa, e non indossa scarpe, non si porta dietro nulla per proteggersi dal freddo. Quel figlio in braccio la spoglia di qualsiasi difesa.
Io questo intervento ce l'avevo in programma e, più di un anno fa, ne ho vissuto un altro che programmato non era, eppure la differenza tra i due non si fa sentire. La paura c'è sempre, anche quando la ragione funziona benissimo.
Ricordo bene la prima volta. Ricordo quando mi sono seduta in sala d'attesa e c'erano altre mamme che mi guardavano mentre piangevo disperata, e mi consolavano. Ricordo il giorno dopo e quelle stesse mamme, sedute a raccontare, una ad una, il proprio perché. Ricordo una ragazza, molto più giovane di me, che attendeva una chiamata. Ricordo quanto fosse prezioso il cuore di suo figlio. In quel momento ricordo anche di essermi vergognata profondamente delle mie lacrime, perché il Polpetta stava male, ma di un male diverso, di un male minore.
E' che ogni tanto vorresti capitasse agli altri, e poi però ti volti e vedi che agli altri capita e, alle volte, capita peggio.
Dicono che da genitori si è preparati a tutto, e sì, posso dirvi che è vero, perché quando hai un figlio c'è una piccola parte di noi che è sempre ai blocchi di partenza, in attesa di un fischio e i nostri muscoli sono sempre tesi, caldi, pronti. Poi però c'è anche quella parte di noi che qualche volta perde il ritmo, quella parte che lo vorrebbe portare sempre e solo al parco giochi. E' la parte più irrequieta, quella più difficile da gestire, quella che ancora teme gli esami e che davanti alla commissione ci arriverebbe con la lingua insabbiata.

Stasera ripasso, mi concentro, prendo appunti. E domani si riparte, un'altra volta, un passo sulla corda e, se serve, un salto nel vuoto. E chi sostiene chi sarà solo una percezione dell'anima. Io sarò il suo abbraccio e lui il mio.

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