mercoledì 28 settembre 2016

Cara Bridget...



Ok. L'ho visto. Ho visto il terzo episodio di Bridget Jones ed è stato come scollinare a Medjugorje.

Per anni mi sono interrogata sull'origine della mia variegata esistenza. Alterno periodi di garbata autostima a scontri titanici con il destino e la sua malaugurata inventiva. La realtà è più o meno questa: ovunque rivolga l'attenzione vien giù un disastro, inciampo da ferma, frano in mezzo ai prati, dico cose che non vorrei dire, spicco per mediocrità in ogni attività sportiva. Da incinta sbattevo ovunque, la mia specialità era scrostare gli stipiti delle porte, mi tatuavo gli spigoli sulle cosce, ridisegnavo gli spazi, transitavo attraverso le cose come un ectoplasma ma, peggio ancora, procedevo in avanti nella certezza di poter indossare, comunque, una quarantadue.

Quarantadue era la taglia in cui sognavo di infilarmi anche a sedici anni, desiderio che si frantumava ogni mattina davanti allo specchio. L’anta dell’armadio spalancava le sue orrende fauci e vomitava insulti, mentre entravo con la testa dentro il maglione di mio padre. A sedici anni a cagarmi era solo il bidello della scuola perché gli scucivo di dosso dell’autentica compassione. Quando varcavo la soglia dell’Istituto in compagnia del mio fedelissimo cannolo alla crema, quel curvo essere umano così predisposto all’insulto e all’invocazione divina usciva dal suo antro di bestia e mi offriva la sedia e stava lì a fissarmi mentre ingurgitavo l’ultimo boccone prima di salire in classe. Per il resto del tempo il genere maschile non era cosa che mi riguardasse affatto, la mia vita era costellata da femmine belle e incredibilmente stronze. Ingoiavo libri e me ne stavo lì in disparte a fantasticare sulle potenzialità della mia esistenza futura. Ero vittima di un culo non mio e portatrice sana di un caschetto che ad ogni colpo di phon intonava ritornelli di Renato Zero.

Solo adesso realizzo e prendo coscienza di un'altra acuta quanto preoccupante somiglianza, la somiglianza con te Bridget e - diavolo d’un destino! - dobbiamo parlarne ora, subito, senza lasciar insoluta la benché minima richiesta. Quindi dimmi, ti prego, dimmi! Com’è che funziona? Com’è che si arriva all’happy ending? Com'è che se io da ubriaca varco una tenda buia a un rave party mi limono di sicuro il verduraio che piscia sui lampioni della statale e tu, invece, cara Bridget, finisci dritta dritta nelle mutande di Patrick Dempsey? Com'è? Mh? Qual è il sentiero del karma che devo imboccare per ritrovarmi infine così dannatamente sfigata ma felice?

Solo questo ti chiedo, cara Bridget.
E per mantenere viva l’attesta e non far scemare il destino in altre assurde possibilità ho deciso di sostare il resto dei miei giorni dentro il sempre fedele pigiama di pile, quello rosso, quello che ha le ginocchia sui polpacci e che ci fa sembrare attraenti come un termosifone, soprattutto adesso che nella quarantadue ci entriamo entrambe e l’elastico delle mutande si arrotola ancora, ma sempre nei punti sbagliati. 

Vabbè, salutami tanto Mr Darcy e se ritieni di essere troppo occupata col pretty baby per rispondere a questa mia innocente missiva, don’t worry sore’, passa il mio indirizzo al buon Patrick e lascia fare a lui, tanto alle figure di merda ci penso da sola, i rapporti a distanza non mi spaventano affatto e gli algoritmi non li ho mai veramente capiti.


Ciao Bridget.
Grazie Bridget.
Ti voglio bene Bridget.

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