sabato 10 gennaio 2015

basta 'na jurnata 'e merd

Le giornate di merda servono. Se le guardi da un'altra prospettiva. E se hai un figlio è facile cambiare prospettiva, facilissimo. Basta che ti chini un po', poggi il culo ai talloni, e ti infili dentro ai suoi occhi. Ecco, da lì, puoi vedere tutto.

Stamattina tiravo il calzino antiscivolo derapando sul parquet tutta la rabbia che mi ero cucita addosso di notte. Problemi di lavoro, che sono pur sempre problemi, perché una è mamma, va bene, ma se deve lavorare, ha ottime probabilità di avere a che fare, ogni tot, con qualche stronzo impenitente, con qualche casino da sbrogliare. E come tutti gli esseri umani ci si incazza, anche se poi torniamo a casa.
Ecco, io a casa c'ero già.
Il Polpetta scaccolava il suo lugubre nasino raffreddato e fissava Peppa Pig con lo stesso sguardo acquoso con cui io mi perdevo dentro la tazzina del caffè.
D'improvviso, però, si gira e mi chiama. Io lo liquido con un "dopoamoredopo". Passano due minuti e mi richiama esplicitando una richiesta: biccotto. Allora mi alzo, vado lì, gli appoggio un biscotto sulle gambe e striscio in bagno con tutta l'intenzione di lavarmi i denti dentro otto minuti di totale autocommiserazione. D'improvviso, però, appare come un ologramma accanto alla mia gamba destra, mi fissa, punta il suo biscotto integro verso di me e dice: 'a mamma!, io allora lo guardo e dico "su amore, lo mangi da solo il biscotto, sei grande adesso, non ti devo imboccare". E lo riaccompagno al divano, dove me lo ripropone con la stessa identica formula: 'a mamma!. Allora mi siedo lo imbocco, gli faccio una carezza, lui si riperde tra i suoi pensieri fatti di cartoni animati e frollini al cioccolato e io mi rialzo lasciandolo lì con un altro biscotto identico al primo. Questa volta non riesco a superare il tappetto, lui salta giù dal divano, se ne fotte del fatto che Pedro Pony sia ricoverato in ospedale e corre appresso a quella minchiona di sua madre brandendo un innocuo biscottino.
'A mamma!. Urla. E io, finalmente, ascolto.
Mi siedo a terra, lo guardo, lui mi stropiccia sulla faccia il naso pieno di catarro, si siede sui miei talloni incrociati e si infila in bocca il biscotto, da solo. Fissa il muro, sgranocchia e ride.

Un figlio è come avere in soffitta un telescopio, sai che c'è, che ha il suo fottuto valore, ma ci guardi dentro una volta ogni tanto, perché è fatica, e allora ti limiti a guardare le stelle da lontano. Poi un giorno te lo ritrovi davanti, ti pieghi, ci sbirci dentro e ti accorgi che da quel punto, da quella prospettiva tutto assume un altro tono, un'altra dimensione, un'altra luce.

Spesso ci ostiniamo a volerli educare affinché possano fare tutto subito, a renderli precisi agli altri perché possano socializzare in fretta, ad insegnare ogni passaggio di vita come se fossimo gli unici detentori della verità, e invece qualche volta - ogni tanto, eh - bisognerebbe raschiare il culo a terra e lasciarci sgridare, riprendere, correggere.
Solo così si cresce. Solo così si impara.

E non parlo di loro. Parlo di noi.

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