lunedì 17 novembre 2014

La mammitudine, ovvero come lasciarsi infettare da un figlio.

Ero convinta, giuro, che non mi sarebbe mai successo. Accendevo l'autoradio e mi imbattevo nell'album post-partum della Nannini e pensavo "eccone un'altra che si è riconglionita" e ovviamente lo dicevo con una nota di disprezzo, perché le canzoni non mi ricordavano neppure lontanamente la Nannini folle e mascolina della mia adolescenza. Poi cambiavo frequenza, incrociavo la nuova canzone di Elisa e dovevo spegnere di botto, perché mi scendeva la pressione al punto che era un attimo uscire di strada e stamparsi contro un muro. Anche lei, madre da poco, accusava artisticamente la presenza di ben due figli.
Poi è nato il Polpetta e, per non incorrere in errori di sorta, mi sono tenuta distante dalla scrittura per un certo numero di mesi. Tra una poppata e l'altra l'ormone entrava in fibrillazione e guardavo mio figlio sospirando con occhi da gatta in calore. Una mattina mi sono scoperta in bagno che canticchiavo la Pausini e lì, davanti allo specchio sporco di dentrificio, mi sono guardata con orrore.
Ma ancora non ero convinta, ancora speravo di potercela fare.
Due giorni fa, invece, controllavo la bozza di un testo a cui sto lavorando da mesi e scoprivo che in 30 pagine ero riuscita ad infilare la parola mamma per ben 10 volte. E il testo non doveva parlare di madri! Questo è il punto che oserei definire drammatico. Eccomi dunque davanti al male supremo di ogni creativo: la sbandata. Che sia amore, droga, o un figlio dunque. Ero convinta che non mi sarebbe mai accaduto e invece ora mi ritrovo a stabilire una diagnosi.
E' vero. Sono affetta da mammitudine.

Sono chiaramente schiava del Polpetta e spero di esserlo ancora per molto tempo, perché questa schiavitù mi ha guarita dalla frustrazione di essere talmente libera da dovermi sentire sola.
Spero di avere il tempo di vederlo andare via di casa un giorno e di poterlo salutare con un bacio. Spero che i miei spazi vuoti continuino a riempirsi da soli con i miei tasti pigiati sul pc e con la pace che avverto negli echi del mio cuore gonfio di mammitudine. Spero che la serenità non mi abbandoni nei momenti più importanti per mio figlio, nei momenti più importanti per me. Perché oggi la mia lucidità mentale sta tutta lì, dentro le pieghe del suo collo, e lì sta anche la mia serenità e sono concetti che vanno di pari passo. Un domani non so, non so cosa mi aspetta, forse di mammitudine si muore, forse invece si cambia un'altra volta e si diventa altro ancora.
Il trucco sta nell'accettare il cambiamento. Un figlio ti toglie un sacco di cose, cose che rimpiangi, ma te ne restituisce altre che non riuscirai mai a spiegare a chi figli non ne ha.
Ecco, io non avevo figli, e mi schifavo parecchio di chi ne aveva. Ora se mi guardo con gli occhi di allora mi schifo con lo stesso trasporto, ma la risata che mi esce in contemporanea sancisce la pace interiore che ho ora nel rileggermi così schifosamente mamma e così schifosamente felice.

1 commento:

  1. Mi piace quello che scrivi. Mi ritrovo molto nelle tue parole.

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