mercoledì 10 febbraio 2016

Outing 1.7: la resilienza di una mamma.

Ieri il Polpetta mi ha servito il solito caffè della sera, quello che mi fa con la sua stilosissima moca da uno. Si è accomodato dall'altro lato del tavolo, pronunciandosi poi con una certa sollenità.
«Io domani non ci vado a scuola».
Tanto era il trasporto emotivo che giurerei di essermi scottata la lingua.
«E perché, amore bello?».
«Perché a me non mi piace la scuola».
Gli ho chiesto quindi se poteva aggiungere un po' di zucchero al caffè e, giusto per prendere altro tempo, gli ho detto anche che avrei gradito un po' di latte freddo, servito a parte. Lui, in tutta risposta, è andato a cercare il brik nella sua sacca delle verdure col velcro.
E che minchia gli dico, adesso, mh?
Gli devo dare torto?
Gli devo quindi m.e.n.t.i.r.e. perché - giovani - io o.d.i.a.v.o. andare a scuola!
E i ricordi sono ancora così spinosi che non mi bastano le pellicine delle dita per farmi passare il nervosismo. Lo ricordo ancora benissimo, come fosse qui ora, l'odore che usciva dalla cucina dell'asilo, quel misto di brodo e nulla che mi generava una repulsione senza precedenti e ricordo anche che ero terrorizzata dagli occhi a fessura dell'ausiliaria. Non ho avuto una gran fortuna, devo essere sincera, si parla di circa trentaquattro anni fa, c'era tutto un sistema educativo che ora manco sei in grado di immaginare. Per farvi un esempio, io a pranzo non volevo mangiare, mai, certe volte la maestra mi faceva sedere al suo tavolo e allora mi si assestava lo stomaco, prendevo sicurezza e qualcosa buttavo giù. Altre volte invece arrivava l'ausilaria che, forse rinvigorita dal suo ruolo di esperta del settore vettovaglie, mi afferrava il mento, strizzava la bocca fino a farmi male e ci schiacciava dentro gli spinaci. Piangevo e però la lasciavano fare, anche perché, qualcuno, si premurava pure di tenermi ancorata alla sedia e allora mi saliva sempre un po' di paura. Sono ricordi piuttosto netti ed è inutile dirvi che ad oggi io gli spinaci li mangio proprio se a cucinarmeli è Antonella Clerici con tutto un parterre di gattini al seguito.
Sì, insomma, non ho avuto un gran culo in quanto a educazione alimentare e mia madre qualcosa aveva subodorato, perché mi ero ostinata ad ingoiare solo biscotti al cioccolato, ma valli a capire i bambini, valli a scagionare i capricci, le ostinazioni, i fastidi. Non è affatto semplice. Non lo è stato per me, men che meno per lei. Ne sono certa.
E quindi io quei tre anni di scuola materna li ho passati seduta sul bordo della mia seggiolina a spalmarmi di colla vinilica nell'attesa che qualcuno venisse a prendermi. Non ho altri ricordi, ve lo assicuro. Non ricordo una canzone, non ricordo un'amicizia e neppure un dettaglio in grado di restituirmi un luccichio di meraviglia. Niente.
Vabbé, questo per passarvi un concetto piuttosto leggero di quello che dalla mente di un bambino transita fino all'età adulta, quello che ci allena a stare al mondo e quello che un po' ci rende schiavi di paure e fastidi di cui forse faremmo anche a meno.

Ma torniamo al Polpetta, al suo caffè macchiato.

«E dimmi, amore bello, perché non ti piace andare a scuola».
Si siede sulla sua seggiola rossa, appoggia i polsi al tavolo, mi guarda dritta negli occhi e lascia passare quei cazzo di otto secondi che mi vedono con gli occhi a palla e le coronarie in subbuglio.
«Perché io a scuola piango cento volte».
Una caprioletta del ventricolo destro, una caprioletta del ventricolo sinistro, due litri di saliva ingoiati in un sol boccone. Smile.
«E perché, amore bello, piangi cento volte, mh?».
Si alza, fa il giro del tavolo, si piega sulle mie ginocchia e bisbigla pianissimo.

«Perché a me mi manca cento volte la mamma».

Non potevo fare altro, la risposta c'era ed era piuttosto chiara.
L'ho preso in braccio, gli ho dato cento baci - non uno di meno - e ogni bacio era per me, non per lui. Perché ogni giorno che passa me ne accorgo sempre di più e sempre di più si fa salda la certezza che è lui che si prende cura di me, più di chiunque altro abbia mai saputo fare.

«Ascolta, Nic, ma alle maestre piace il caffè che gli fai?».
Scivola via, prende la moca e sorride.
«Sì, ne bevono sempre tre».
«E allora sai che c'è? Fammene altri due, và, ma non li zuccherare eh, che sto già bene così».

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